Considerato uno degli ambienti artistici più significativi dell’intero complesso architettonico di Villa Arconati, il “Salone dei Galliari” fu voluto da Giuseppe Antonio Arconati, che per la sua realizzazione chiamò, dopo aver concluso nel 1750 i lavori di ampliamento della villa, i fratelli Galliari, pittori d’origine piemontese specializzati in scenografie teatrali.
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Abili nel creare illusioni architettoniche e quadrature prospettiche, presso Villa Arconati i fratelli Galliari eseguirono una delle loro prove pittoriche più convincenti, che gli consentì di tornare attivi in ambiente milanese anche per le scenografie de “L’Europa riconosciuta” impiegate per l’inaugurazione del Teatro alla Scala di Milano avvenuta nel 1778.
Il primo livello del salone è dipinto a finti stucchi con aperture nel muro, zoccolature, nicchie e trabeazioni che sostengono una balconata dipinta con finto aggetto e colonne tortili di marmo. Su queste ultime poggia un’illusionistica apertura che lascia intravvedere un cielo popolato da una moltitudine di figure in movimento.
A Fabrizio Galliari, specializzato nella quadratura prospettica, sono da ascrivere le architetture e gli effetti a trompe l’oeil realizzati grazie ad espedienti tipici della pittura settecentesca. Il suo linguaggio figurativo prevede infatti l’inserimento di figure che sembrano sporgersi dalle architetture o di vasi e statue aggettanti che sembrano sul punto di cadere, donando alla composizione originali e brillanti soluzioni che in questa sala si coniugano sapientemente con le esedre prospettiche dipinte sule pareti corte, dove le porte reali, inquadrate in nicchie rovesciate, diventano ulteriori spunti per allungarne la profondità.
A Bernardino e Giovanni Antonio, invece, sono rispettivamente da assegnare le figure dipinte con colori caldi e luminosi e il disegno di fiori e ghirlande, distribuiti con grande generosità su tutta la volta e sulle pareti.
I soggetti principali rappresentati sulla volta del salone riprendono la cultura classica a sfondo allegorico-mitologica, mostrando i tre temi dell'”Allegoria del Tempo”, della “Caduta di Fetonte” e del “Carro del Sole”. In un gioco illusorio di colonne, balconi, finzioni spaziali, lacunari e stucchi, infatti, al centro del soffitto si trovano alcuni putti e una figura femminile dipinti a finto rilievo, mentre tutt’intorno puttini e figure mitologiche emergono tra nubi color arancio stagliate su un cielo azzurro.
L’”Allegoria del Tempo” è affidata a putti che sorreggono clessidre dotate di ali e meridiane policrome, che compaiono accanto a un vecchio seduto in trono che personifica la Morte, raffigurato mentre stringe tra le mani una lunga falce.
Le due scene principali dipinte sulla volta, invece, sono legate al mito del disubbidiente Fetonte che, contro il volere del padre Apollo, volle condurre il carro solare precipitandone al suolo dopo aver bruciato una parte della volta celeste e una parte della terra. La scena, divisa in due quadri, mostra sulla sinistra di chi entra nell’ampio salone, Fetonte che chiede il permesso ad Apollo di poter guidare per un giorno il carro solare trainato dai bianchi cavalli che indica con la mano destra, e, sulla parete opposta, il giovane che cade al suolo colpito da una saetta di Zeus.
Il primo livello del salone è dipinto a finti stucchi con aperture nel muro, zoccolature, nicchie e trabeazioni che sostengono una balconata dipinta con finto aggetto e colonne tortili di marmo. Su queste ultime poggia un’illusionistica apertura che lascia intravvedere un cielo popolato da una moltitudine di figure in movimento.
A Fabrizio Galliari, specializzato nella quadratura prospettica, sono da ascrivere le architetture e gli effetti a trompe l’oeil realizzati grazie ad espedienti tipici della pittura settecentesca. Il suo linguaggio figurativo prevede infatti l’inserimento di figure che sembrano sporgersi dalle architetture o di vasi e statue aggettanti che sembrano sul punto di cadere, donando alla composizione originali e brillanti soluzioni che in questa sala si coniugano sapientemente con le esedre prospettiche dipinte sule pareti corte, dove le porte reali, inquadrate in nicchie rovesciate, diventano ulteriori spunti per allungarne la profondità.
A Bernardino e Giovanni Antonio, invece, sono rispettivamente da assegnare le figure dipinte con colori caldi e luminosi e il disegno di fiori e ghirlande, distribuiti con grande generosità su tutta la volta e sulle pareti.
I soggetti principali rappresentati sulla volta del salone riprendono la cultura classica a sfondo allegorico-mitologica, mostrando i tre temi dell'”Allegoria del Tempo”, della “Caduta di Fetonte” e del “Carro del Sole”. In un gioco illusorio di colonne, balconi, finzioni spaziali, lacunari e stucchi, infatti, al centro del soffitto si trovano alcuni putti e una figura femminile dipinti a finto rilievo, mentre tutt’intorno puttini e figure mitologiche emergono tra nubi color arancio stagliate su un cielo azzurro.
L’”Allegoria del Tempo” è affidata a putti che sorreggono clessidre dotate di ali e meridiane policrome, che compaiono accanto a un vecchio seduto in trono che personifica la Morte, raffigurato mentre stringe tra le mani una lunga falce.
Le due scene principali dipinte sulla volta, invece, sono legate al mito del disubbidiente Fetonte che, contro il volere del padre Apollo, volle condurre il carro solare precipitandone al suolo dopo aver bruciato una parte della volta celeste e una parte della terra. La scena, divisa in due quadri, mostra sulla sinistra di chi entra nell’ampio salone, Fetonte che chiede il permesso ad Apollo di poter guidare per un giorno il carro solare trainato dai bianchi cavalli che indica con la mano destra, e, sulla parete opposta, il giovane che cade al suolo colpito da una saetta di Zeus.