La “Cappella di Santa Maria Assunta e San Francesco d’Assisi”, sorta accanto alla residenza nobiliare di Villa Crivelli Pusterla a Limbiate ed un tempo ad essa collegata direttamente da un camminamento coperto, assunse l’attuale aspetto nel 1754, in occasione del grande rifacimento dell’intero complesso architettonico promosso da Stefano Gaetano Crivelli ed affidato all’architetto Francesco Croce. Anche l’insieme delle decorazioni parietali interne, comprendenti un medaglione al centro della cupola e due collocati sulle pareti laterali, risalgono alla stessa epoca e all’opera del pittore cremonese Giovanni Angelo Borroni, la cui carriera fu da sempre legata alla benevolenza della famiglia Crivelli.
Da Cremona proveniva anche la pala un tempo collocata sull’altare maggiore della cappella, realizzata nel 1569 dall’artista Bernardino Campi ed oggi conservata in deposito presso Palazzo Isimbardi a Milano che è stata sostituita in loco da una riproduzione fotografica al vero recentemente trafugata.
La scelta compiuta da Stefano Gaetano Crivelli di acquistare un’opera di un pittore cremonese del XVI secolo e non da un lombardo a lui contemporaneo, è abbastanza singolare e probabilmente tale scelta fu motivata dall’intenzione di rimarcare le origini territoriali della propria famiglia e sottolineare, inoltre, la propria perizia nella scelta di opere d’arte per la villa. Da un punto di vista stilistico infatti, Bernardino poteva essere letto come un predecessore del Borroni, che peraltro fu un restauratore di opere campiane, manifestando così una linea di continuità tra il ricco passato della cultura artistica cremonese e i nuovi sviluppi della stessa trapiantati sulla scena milanese.
Per tutto il Cinquecento a Cremona prosperò infatti una scuola artistica locale che trovò fortuna anche presso l’eclettico ambiente artistico milanese: la città divenne il crocevia tra le esperienze dei vari centri lombardi ed emiliani, mostrando l’avvenuto superamento della fase iniziale di tradizione padano-veneta, in ragione di un manierismo ormai arricchito di citazioni raffaellesche ed emiliane. L’autonomia e l’originalità di tale scuola pittorica fu dovuta principalmente ai tre fratelli Campi – Giulio, Antonio e Vincenzo – figli del pittore Galeazzo, e all’artista Bernardino Campi, nato a Reggio Emilia e curiosamente svincolato da qualsiasi legame di parentela con i primi tre, benché attivo negli stessi anni ed ugualmente impegnato nel rinnovamento del linguaggio figurativo lombardo.
L’esordio di Bernardino si compì nella prima metà del XVI secolo ma la perdita di quasi tutte le opere inerenti i primi anni della sua carriera non permette di definire con certezza gli anni della formazione, sicuramente segnata dall’opera del più anziano Giulio Campi e da un viaggio a Mantova: il suo orientamento artistico deve infatti molto sia ai modi di Giulio Romano che a quelli del Parmigianino.
A partire dagli anni Cinquanta del Cinquecento la sua attività si spostò a Milano, dove venne introdotto dal capitano di giustizia Niccolò Secco per tramite del governatore Ferrante Gonzaga: Bernardino faceva infatti parte dell’esclusivo circolo aristocratico di Ippolita Gonzaga, per la quale dipinse sia opere di soggetto mitologico che numerosi ritratti, oggi purtroppo andati perduti. A Milano egli risiedette fino al 1565, godendo della protezione del governatore Ferdinando Francesco d’Avalos e dirigendo una numerosa e importante bottega attiva nella realizzazione di pale d’altare per la città e i territori circostanti.
Nel 1567 l’artista fece però ritorno a Cremona, dove divenne il primo pittore cittadino, scalzando i vecchi patriarchi Giulio Campi e Bernardino Gatti e i pendolari Antonio e Vincenzo Campi. Fu dunque lui a ricevere i più importanti incarichi da parte della fabbrica di San Sigismondo e per la decorazione interna della cattedrale di Santa Maria Assunta, oltre che per numerose pale d’altare di elevata cifra stilistica e qualitativa. Rispetto alla situazione milanese infatti, nella quale le scelte pittoriche e il rinnovamento figurativo in chiave naturalistica erano fortemente legati all’opera di Carlo Borromeo e ai circoli religiosi a lui collegati, la città di Cremona viveva all’epoca ancora una situazione tranquilla e meno inquieta, in cui le committenze religiose erano abituate a pale d’altare più tradizionali. E fu proprio a Cremona, negli anni considerati il culmine della sua attività, che vide la luce la pala raffigurante la “Madonna venerata dai santi Giovanni Battista e Dalmazio”, firmata e datata in basso. L’opera fu realizzata per l’arciprete di San Dalmazio di Paderno Ponchielli (Cremona) in occasione della ristrutturazione della chiesa effettuata dopo un incendio che la colpì nel 1564.
Sebbene caratterizzato da un’impostazione veneta, con la Vergine Maria in gloria angelica nella parte alta della composizione, venerata dai due santi posti ai suoi piedi, il dipinto mostra tuttavia ancora qualche ricordo della tradizione lombarda delle Madonne oranti, probabilmente appresa da Bernardino durante gli anni milanesi.
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