La mensa possiede, sin dalle origini della cultura occidentale, una valenza prettamente estetica oltre che funzionale: l’abitudine di allestire il triclinio in una galleria di quadri, di mostrare agli ospiti ricche composizioni di frutta come ornamento del tavolo, di nutrirsi sotto una pioggia di petali di fiori che cade dall’alto, sono solo alcune delle particolari usanze cerimoniali pensate nell’antichità per accompagnare i momenti conviviali e ben narrate da affreschi delle residenze nobiliari dell’epoca. Con il passare dei secoli le ritualità sacre del nutrirsi si affievolirono, sebbene non fu perso il significato del banchetto come occasione per manifestare il potere e il prestigio raggiunto o per rimarcare le differenziazioni di carattere sociale esistenti tra le cassi meno agiate e i ceti più abbienti.
Inizialmente fulcro dell’intero ambiente domestico divenne il focolare, inteso come una vera e propria fonte di calore utilizzata per la cottura del cibo, solitamente collocato nelle abitazioni più prestigiose in posizione centrale con modalità di tiraggio elementari (nella domus italica era previsto un apposito foro nella copertura). A partire dall’età medievale, il focolare venne addossato ad una parete murata e affiancato da una serie di panche e sedute dove le persone si potevano raccogliere, spesso intorno ad una tavola imbandita. Questa tradizione permase sino a quando non si diffuse l’impiego della cucina come locale separato per la cottura degli alimenti, nel quale il camino costituiva uno dei rari “arredi decorati” fissi e sostanzialmente inamovibili. In epoca rinascimentale si assistette, invece, alla nascita di un graduale processo di separazione del locale “cucina” dalla “sala da pranzo”, allestita in ambienti diversi a seconda delle esigenze del singolo momento conviviale. La tavola in legno, poggiata su cavalletti smontabili, veniva infatti trasportata all’occorrenza da un locale all’altro dell’edificio, talvolta anche all’aperto presso i giardini delle Ville.
Se ancora nel Seicento i singoli ambienti di una residenza nobiliare non venivano destinati a funzioni fisse, e dunque tavoli, armadi e letti venivano continuamente movimentati in funzione della volontà dei proprietari, con il Settecento si prese l’abitudine di riordinare ed arredare in maniera permanente tutti i locali, con esiti particolarmente interessanti proprio per le sale da pranzo. Qui l’apparato decorativo veniva realizzato in maniera differenziata anche in ragione della componente socio-funzionale, ovvero in base alla scelta di interpretare la sala da pranzo come ambiente intimo destinato ai pasti della sola famiglia proprietaria della residenza, oppure come locale di rappresentanza, adatto a ricevere ospiti e a celebrare visivamente lo status sociale raggiunto dall’anfitrione.
Da questa primaria scelta cultural-funzionale dipendevano numerose ulteriori azioni, come la predilezione di arricchire le pareti con boiserie in legno e tappezzerie damascate, capaci di amplificare l’effetto di morbida e calorosa accoglienza, e di studiate attentamente le scelte decorative delle pareti affinché ad esse si abbinassero anche le tende a gli altri arredi imbottiti.
Parimenti dalle scelte connesse alla destinazione delle sale dipendevano anche le decisioni di decorare una sala per ricevimenti con finte partiture architettoniche dipinte o modellate in stucco, specchiere e pitture che potessero ricreare un effetto scenografico di moltiplicazione delle immagini durante il banchetto, anche grazie alla ricchezza e abbondanza delle luci offerte da raffinati lampadari in vetro e cristallo o candelabri in argento ed oro.
Un perfetto esempio di questo tipo di differenziazione tra differenti sale da pranzo è offerto dagli ambienti di Villa Cusani Tittoni Traversi di Desio ristrutturata con gusto tipicamente eclettico dall’architetto Pelagio Palagi intorno al 1817, su richiesta dei nuovi proprietari.
I Traversi, borghesi legati alle attività produttive, vollero infatti per il piano terra una sequenza di ambienti ispirati ad epoche e stili completamente eterogenei, che spaziavano dal gusto moresco, al gotico, al barocco e alle decorazioni arabeggianti.
La “Sala da pranzo di rappresentanza” conserva ancora oggi i suoi preziosi pavimenti in seminato veneziano, raffiguranti animali entro cornici geometriche abbellite da bouquet di frutti esotici.
Il soffitto è invece decorato con graziose dame, ninfe, satiri e putti eterogeneamente impiegati, dipinti all’interno di un complesso impianto di finte architetture, modanature e cornici marmoree impreziosite da bouquet floreali.
Totalmente differente risulta invece la suggestiva “Sala neogotica”, utilizzata da coniugi Traversi come stanza da pranzo intima e privata, caratterizzata da arredi e decorazioni pittoriche che contribuiscono a ricreare una sognante atmosfera medievale. Tale sala, infatti, è di ridotte dimensioni ed è decorata con boiserie in legno e tappezzerie in seta rosso scuro, che valorizzano cromaticamente gli intrecci geometrici presenti sul pavimento a mosaico in seminato veneziano e i dipinti realizzati sul soffitto raffiguranti amorini, ninfe, satiri e le figure allegoriche delle quattro Stagioni.
In senso anti Barocco e Rococò e verso una ripresa del classicismo, fu invece diretto il rinnovamento pittorico realizzato da Giuseppe Levati presso Villa Visconti Borromeo Litta a Lainate.
Qui la “Sala da pranzo” costituisce uno dei volumi architettonici meglio conservati del piano terra dell’ala settecentesca, anche se purtroppo dell’arredo originale rimangono solo due specchiere in stile veneziano e una stufa in ceramica di provenienza incerta. Il pavimento è decorato con un mosaico di stile veneziano e presenta fasce colorate alternate a scomparti romboidali; pareti e soffitto sono affrescati con una serie di motivi ornamentali che rappresentano finte cupole, candelabre e grottesche all’antica realizzati a monocromo e alternati da una serie simmetrica di paraste scanalate.
Ugualmente all’antica si ispirano i motivi decorativi della cosiddetta “Sala Neoclassica” di Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno, trasformata da Gaspare Varenna in una sala da pranzo su richiesta degli eredi della famiglia Arese Borromeo.
L’artista sostituì l’originale seicentesco medaglione affrescato al centro della volta, con un’elegante decorazione a riquadri e motivi geometrici, affiancata da otto riquadrature laterali con immagini ispirate al “quarto stile pompeiano”, dipinte con soggetti naturalistici e animali. Alcuni inventari stilati fra XVII e XVIII secolo, indicano questa sala con la dizione “Stanza dove si mangia”, annotando la presenza in essa di tre grandi tavoli e due tavolini di noce, posti sotto le due finestre. Secondo questi stessi documenti, completavano l’antico arredo sei sedie e otto scranni con imbottitura a fiori e una caminiera, oggi non più esistenti.
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