Sala della Fortezza

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Straordinario esempio della ricchezza della decorazione dell’ala cinquecentesca della villa, la “Sala della Fortezza” viene così chiamata per l’affresco eseguito al centro del soffitto raffigurante un’allegoria dell’omonima Virtù. Il dipinto viene ritenuto dalla critica opera dell’artista emiliano Camillo Procaccini (1561-1629), attivo nel Ninfeo nell’ultimo quarto del XVI secolo, e che, probabilmente, eseguì insieme ai propri collaboratori la regia decorativa degli affreschi del piano terra dell’edificio.

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La figura femminile della “Fortezza” è qui rappresentata in un ardito scorcio, mentre si eleva su un fondale dorato. La fanciulla regge tra le mani una spada avvolta dalle spire di un serpente e uno scudo su cui campeggiano una testa di leone e una clava, probabilmente allusive alle imprese di Ercole, eroe mitologico noto per la sua forza.
La giovane indossa un abito di colore rosso, le cui pieghe le ondeggiano attorno alle gambe viste dal sottinsù. Sulle spalle porta un ampio manto azzurro chiaro e la testa, in parte nascosta dietro la spalla, appare coronata da un elmetto metallico ornato di foglie. La figura è sormontata da un lungo cartiglio la cui scritta latina oggi appare ormai illeggibile.
Non meno interessanti sono le “teste caricate” dipinte da Camillo ai lati del riquadro centrale. L’artista, forte dell’esperienza maturata tra Parma e Bologna, giunse in una Milano estremamente curiosa nei confronti delle esasperazioni fisionomiche, fin dalle prime prove condotte da Leonardo da Vinci con le sue “Teste grottesche”. L’intera volta infatti, si presenta particolarmente ricca dal punto di vista decorativo, con presenza di elementi vegetali e floreali, creature mostruose e leggendarie ed ampie cornici all’antica che inquadrano scene paesistiche. Questi paesaggi bucolici, accesi da toni e luci cangianti soprattutto nella trattazione delle fronde degli alberi e nei borghi che si stagliano sullo sfondo, tradiscono un certo gusto nordico per le vedute fantastiche, riconducibile alla circolazione nella seconda metà del Cinquecento delle opere degli artisti fiamminghi Paul Bril e Jan Brueghel, favoriti in Lombardia anche dalle committenze del cardinale Federico Borromeo. La particolare vitalità di questi paesaggi, condotti non senza conoscere l’atmosfera dei “paesi di maniera” dipinti nell’Emilia della fine del XVI secolo, ha fatto propendere la critica per un’assegnazione al fratello minore di Camillo, Carlo Antonio Procaccini (1571-1630), apprezzato sia come paesaggista che come pittore di nature morte. Più difficile diventa invece identificare i brani pittorici affidati ai meno celebri Agostino Lodola e Giovan Battista Maestri, detto il Volpino, documentati al fianco del Procaccini intorno al 1602-1603 in alcune note di pagamento dell’amministrazione di Pirro I Visconti Borromeo.
La decorazione della sala prosegue anche sulle pareti, dove ampi cornici geometriche divise in riquadri polilobati racchiudono coloratissime ornamentazioni a volute e racemi floreali, che si chiudono intorno a raffigurazioni allegoriche di divinità mitologiche. Fra di esse si citano l’immagine di Cupido, con arco e faretra, intento a recuperare una freccia tenuta tra le mani di una giovane donna seduta accanto a lui, che lo tiene tra le braccia; e la raffigurazione di una nereide (forse Galatea), una ninfa del mare riccamente ingioiellata seduta su un gigantesco mostro marino in cima ad una grotta, che ricorda le forme dell’attiguo Ninfeo. Anche la cappa del camino appare dipinta con la raffigurazione simbolica dei quattro elementi: al centro di un verde prato è raffigurato un ardente falò, le cui fiamme stanno per spegnersi sotto la pioggia portata da una nuvola raffigurata nella parte superiore della composizione. L’immagine è sovrastata da un cartiglio recante la scritta latina in lettere capitali “Auget” (“aumenta”), probabilmente riferibile alla grandezza della famiglia Visconti Borromeo.