Faggio (Fagus Sylvatica)

38 F. sylvaticus pendula (2)

 

Oltrepassando il Ninfeo di Villa Visconti Borromeo Litta si raggiunge la porzione di parco denominata nei secoli passati “Giardino Grande”, che ha mantenuto gran parte dell’originaria struttura all’italiana. Quest’area è dominata dalla splendida “Fontana di Galatea” e termina in un’esedra che ospita un gruppo scultoreo in terracotta raffigurante il “Ratto di Proserpina” all’interno di una nicchia rivestita da incrostazioni calcaree. Qui le essenze arboree disposte nelle aiuole quadripartite sono state appositamente scelte per stupire il visitatore: tra esse si distingue un imponente albero di faggio, con chioma massiccia e ramificata. Il suo fusto è liscio, la corteccia grigio argento, quasi cenere.

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Anche il fogliame è particolare perché i margini delle foglie sono ondulati e muniti di una specie di morbida ‘peluria’. Queste, inoltre, sono alterne e di forma ellittica, con base arrotondata. La loro pagina superiore si presenta inizialmente colorata di verde chiaro e solo in seguito assume una tinta più scura. Le foglie sono lucide su entrambe le facciate, anche se su quella inferiore la lucentezza tende a scomparire durante l’avanzare della stagione, rimanendo solamente agli angoli delle nervature. Durante l’autunno le foglie si colorano di un bel giallo dorato, per poi sfumare nelle tinte arancioni e infine rosso-brune.
Si tratta di una specie monoica, in quanto i fiori maschili e femminili sono portati separatamente sulla stessa pianta. Il Faggio, che scientificamente assume il nome di Fagus sylvatica, fiorisce tra aprile e maggio. Gli amenti maschili (fiori simili a piccole spighe), appaiono riuniti in cespi tondeggianti caratterizzati da lunghi peduncoli. Gli amenti femminili, invece, sono muniti di tre stigmi e crescono verticalmente in corrispondenza delle ascelle fogliari più alte. I frutti, che costituiscono le faggiole, compaiono a gruppi di due all’interno di un involucro chiamato riccio, perché ricoperto di morbide spine.
Il Faggio era un tempo molto più diffuso in Italia che nell’attualità, tanto da essere cantato dai poeti per la sua ombra rinfrescante, come testimonia Virgilio nelle Bucoliche: “Tityre, tu patulae recubans su tegmine fagi/silvestrem tenui Musam meditaris avena”.
La presenza all’interno del parco pertinenziale di Villa Visconti Borromeo Litta è motivata da ragioni legate all’architettura dei giardini sei-settecentesca e alla ritualità scenico-narrativa del vivere in villa. Ai nobili proprietari, tuttavia, non sfuggiva che questa pianta possedeva proprietà medicamentose e veniva utilizzata anche per altri scopi. Dai suoi frutti, ad esempio, ancora oggi si ricava un olio commestibile, mai prodotto su larga scala per l’irregolarità con cui la pianta fruttifica. Dalla corteccia del faggio, inoltre, un tempo si ricavava la carta e la scorza dei rami, che contiene tannino ed era utilizzata come febbrifugo e tonico contro la dissenteria, a causa del suo effetto astringente. L’infuso ottenuto dalle foglie esercita un’azione terapeutica nelle affezioni bronchiali con un miglioramento della funzione respiratoria.
Nelle ville gentilizie lombarde in genere si coltivavano differenti varietà di faggio, come il faggio rosso, caratterizzato da foglie rosso scuro e dai rami pendenti. In Villa Visconti Borromeo Litta è possibile scorgere a nord-ovest del giardino formale l’impianto, molto semplificato, del giardino all’inglese: qui, tra le piante ad alto fusto e i cespugli, si possono notare il Fagus sylvatica “Asplenifolia” e il Fagus sylvatica pendula, offrendo la possibilità anche ai bambini e alle persone non esperte di botanica, di cogliere le differenze che caratterizzano le diverse specie della famiglia del faggio.
Il Fagus sylvatica “Asplenifolia” predilige gli ambienti ombrosi e la luce soffusa e si distingue dalle altre per avere una foglia che ricorda quella delle felci, da cui deriva il nome della varietà “Asplenifolia”. La varietà “pendula”, invece, frutto di un innesto, presenta dei rami prima ascendenti e poi ricurvi verso il basso che, talvolta, giungo a lambire il terreno.
Considerato un albero sacro in numerose culture dell’antichità, il faggio è stato ampiamente impiegato per rappresentare l’Albero cosmico, capace per posizione e forma di unire simbolicamente cielo, terra e inferi.
Nelle ville di delizia briantee e milanesi la sua presenza talvolta è motivata da ragioni apotropaiche, poiché un tempo si credeva che il faggio non potesse essere mai colpito dai fulmini.