Sala dei Fasti romani: Trionfo della Religione

34CE Trionfo della Religione (6)

 

La parete meridionale della “Sala dei Fasti romani” è occupata nella parte centrale dalla rappresentazione allegorica della Religione Cristiana. Seduta al centro della scena, in primo piano, è visibile una giovane donna vestita di bianco che regge nella mano destra uno scettro e con la mano sinistra accarezza un’aquila accovacciata ai suoi piedi. Tale immagine simbolica della Chiesa viene servita da una serie di sei piccoli angeli che le volano intorno: due pongono sulle sue spalle un piviale bordato d’oro; uno le sistema sopra la testa il Triregno, la tiara papale ornata da tre corone gemmate; un altro si allontana in volo con in testa un elmo dorato.

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Degli ultimi due angeli, quello a destra della composizione solleva con entrambe le mani un bastone sormontato dal simbolo della croce patriarcale, mentre l’ultimo si incammina allontanando dalla Chiesa una borsa di denaro. Sopra l’immagine della fanciulla è raffigurata un’altra figura alata che suona una doppia tromba: essa rappresenta la Gloria che, con la sua immortalità, scaccia il Tempo, un vecchio alato che fugge coprendosi le orecchie con le mani. Sullo sfondo è, infine, visibile un tempio abbandonato e coperto di vegetazione collegato da una passerella lignea a una grandiosa ma incompiuta basilica, che testimoniano come la Chiesa moderna sia erede (poiché a esso collegata da un passaggio) e, nello stesso tempo, superamento della rovina del mondo classico.
Il significato simbolico del dipinto è molto complesso e si articola su più registri narrativi. La Chiesa, sembra infatti suggerire il committente dell’opera, può raggiungere la fama eterna solo con l’abbandono della guerra (l’elmo che viene portato via) e della seduzione offerta dal potere temporale (le ricchezze che vengono allontanate), ordinando (la presenza dello scettro) il completamento delle strutture ecclesiali rimaste incompiute con l’aiuto di amici fidati, rappresentati dagli angeli e dai due cappelli cardinalizi posti ai piedi della donna, che probabilmente alludono ai cardinali delle famiglie Borromeo e Omodei. Tale raffigurazione risulta tuttavia apparentemente incongrua con la serie di storie romane dipinte sulle pareti della stanza, cui l’immagine della Religione si collega solo attraverso il carattere di continuità storica con il mondo classico rappresentato dal tempio e dalla basilica sullo sfondo. In realtà la critica ha voluto leggere in questo brano un’ulteriore sfaccettatura della personalità di Bartolomeo III Arese, il cui desiderio di riforma della Chiesa si unisce qui alle altre grandi tematiche trattate nella decorazione parietale interna dell’intero palazzo (il dolore per la morte prematura del figlio Giulio II, l’ossessione per la successione dinastica, l’operato di consigliere degli Asburgo, l’amore per la cultura antica, ecc…). La scena, dunque, sembra suggerire che la Chiesa è in pace perché sorretta dalla politica di famiglie amiche e, nel contempo, ricorda che tale stato non deve essere interpretato come incapacità di rispondere alle offese, tanto che la Chiesa trattiene a sé con la mano e il piede sinistro l’aquila zeussiana, pronta a colpire con le saette accese poste ben in evidenza.
La critica è concorde nell’assegnare l’episodio dipinto al pittore Giovanni Stefano Doneda, detto il Montalto (1612-1690), per l’analogia con altre opere del maestro bergamasco realizzate all’interno del Palazzo. Qui l’artista avrebbe collaborato con il celebre quadraturista Giovanni Ghisolfi, autore della riquadratura architettonica che circonda l’episodio e con il pittore milanese Antonio Busca, cui spettano le due scene laterali collocate sopra le porte d’accesso, raffiguranti episodi della storia della fondazione di Roma.