Tra il 26 luglio e la metà di agosto del 1976 dalla “Zona A” furono evacuati 676 abitanti di Seveso e 60 di Meda, per un totale di 204 famiglie ospitate in alberghi di Assago e Cormano. Gli abitanti della “Zona B” e della “Zona R” – o di rispetto – furono sottoposti a misure precauzionali quali il divieto di coltivare e consumare prodotti agricoli e zootecnici provenienti dalla “Zona B” e dalla “Zona R” e l’allontanamento diurno di bambini e donne in gravidanza. Ai residenti delle zone “B” e “R” furono indicate anche una serie di precauzioni, tra cui l’intensificazione dell’igiene personale, il divieto di allevare animali e coltivare prodotti vegetali e l’astensione dalla procreazione.
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Scrisse il Corriere della Sera il 26 luglio 1976: “Duecento persone sono da ieri mattina dietro il filo spinato steso attorno al quartiere san Pietro dai soldati del 3° artiglieria a cavallo. L’autocolonna militare è arrivata davanti al municipio di Seveso alle otto e mezzo di mattina […] sotto la pioggia battente gli uomini hanno iniziato a stendere i reticolati doppi di filo spinato, piazzato i cavalli di frisia per sbarrare le vie di accesso al quartiere, piantato nel terreno i paletti di recinzione”.
“E’ brutto lasciare tutto” – dichiarò un abitante della “Zona A” – “qui noi ci siamo costruiti le case lavorando alla domenica e i giorni di festa. Questo villaggio è venuto su con le nostre famiglie e non sappiamo se e quando potremo tornarci”.
In base al livello di inquinamento la “Zona A” fu divisa in sette sub-aree (“A1/A7”). Gli abitanti delle zone “A6/A7”, che comprendevano il 67% della popolazione evacuata, poterono tornare nelle case alla fine del 1977. Tutti gli edifici delle zone “A1/A5” vennero invece demoliti e più di 200 persone non tornarono nelle loro case. Gran parte di queste persone decise di restare a Seveso ricostruendo, anche grazie ai risarcimenti ricevuti, la propria casa in un’altra zone del paese.