La statua della “Venere al bagno” costituisce una tra le più pregevoli sculture del “Corridoio delle statue”, che originariamente era collocata nelle “Grotte Vecchie” del Ninfeo, nel quale oggi è presente una copia identica all’originale. Questa scultura era stata scolpita per essere scenograficamente disposta nell’emiciclo delle grotte naturali situato nella zona orientale del Ninfeo, insieme ad altre due figure di Naiadi-Veneri realizzate intorno al 1589 da Giulio Cesare Procaccini su disegno dello scultore Francesco Brambilla il Giovane.
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Questa “Venere al bagno” viene invece assegnata dalla critica ad un altro scultore attivo nel complesso, il comasco Marco Antonio Prestinari (morto nel 1621), sulla base delle similitudini con l’“Adone”, da lui scolpito nel marmo nel 1602 per il giardino del Ninfeo e oggi conservato al Musée du Louvre di Parigi. In entrambe queste opere, infatti, Prestinari traduce i modelli del Brambilla con un linguaggio differente da quello procacciniano e più vicino alle sculture del celebre artista Giambologna, di cui riprende in maniera evidente l’opera “Venus Urania” (1575), oggi conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Tutte queste sculture tradiscono una certa suggestione della “Leda” di Leonardo, così come poteva essere percepita studiando il cartone dell’artista allora conservato a Milano nella Collezione Leoni (e oggi perduto), oppure le numerose traduzioni pittoriche fatte dagli allievi del maestro fiorentino. Sicuramente Giovanni Paolo Lomazzo, regista insieme a Pirro I Visconti Borromeo del piano iconografico e decorativo del Ninfeo, doveva aver sostenuto una certa vena leonardesca negli scultori attivi all’interno della villa. In particolare nei suoi numerosi scritti appare chiaro come egli considerasse “Leda” come un vertice di perfezione estetico-culturale e come un supremo modello da seguire per raffigurare Venere, i cui volti regolari e affilati presentano il caratteristico ed enigmatico sorriso delle dame leonardesche, così come la stessa attenta definizione delle morbide acconciature a ciocche ondulate.
Splendido esempio di scultura cinque-seicentesca, la scultura della Venere si è guadagnata negli anni l’appellativo popolare di “Vegia Tuntona”, che nel dialetto locale significa “Vecchia Tentatrice”. Le tradizioni orali, infatti, raccontano che i lainatesi, che non avevano accesso agli ambienti della villa e del parco pertinenziali, si arrampicavano appositamente sul muro esterno del Ninfeo per guardare all’interno dell’unica finestra aperta sulla città, dalla quale si poteva scorgere in controluce la sagoma sinuosa della dea in posa lasciva mentre veniva bagnata dagli spruzzi d’acqua, apparendo come un’irresistibile tentatrice, immobile e irraggiungibile.