Accanto alla “Sala degli Specchi” è collocata la “Sala dei Medoni”, che trae la sua denominazione dalle particolari mattonelle in cotto lombardo che decorano la parte centrale della pavimentazione, nonché le aree intorno a porte e a finestre, chiamate appunto “medoni”.
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L’impasto caratteristico del cotto prodotto manualmente in Lombardia è detto anche “nocciolato” per la presenza sulla superficie delle mattonelle di alcune macchie dovute alla mescolanza di argille di nature diverse. Essendo poi l’impasto lavorato manualmente con metodi rudimentali (zappe e badili), al momento della pressione all’interno degli stampi era possibile che rimanessero delle bolle d’aria imprigionate nell’impasto, da cui la presenza di fori più o meno grandi sulle piastrelle, poi ridotti dalla levigatura o dall’usura per calpestio.
Le pareti della sala sono decorate ad affresco, scandite da motivi ornamentali geometrici e vegetali che circondano ampie riquadrature rettangolari contenenti cornici mistilinee di differenti colorazioni. Tali incorniciature, caratterizzate da ricchi profili a volute con conchiglie alle due estremità inferiore e superiore, contengono a loro volta un’ulteriore decorazione a racemi vegetali e floreali, arricchita dalla presenza di piccole teste di putti, uccelli e animali fantastici o mostruosi. Questo tipo di decorazione ben concorda con il motivo a grottesche già ampiamente utilizzato nei soffitti e nelle pareti del Ninfeo, la cui campagna di decorazione fu portata avanti tra il 1587 e il 1589 dal pittore emiliano Camillo Procaccini (1561-1629), con la collaborazione di aiuti e maestri mosaicisti.
Le bizzarrie ornamentali, alternate ad ornati a grottesche e motivi all’antica, corrispondevano infatti al gusto del committente del complesso, Pirro I Visconti Borromeo, nonché a quello dell’intero ambiente artistico lombardo che a partire dall’inizio del XVI secolo fece grandissimo uso di questo tipo di soggetti. Il nuovo repertorio derivato dalle scoperte archeologiche romane, che all’epoca apparivano come grotte sotterranee (da cui il nome “grottesche”), venne infatti impiegato da scultori, orefici, intagliatori e pittori di tutta Europa, diffondendosi anche grazie ai numerosi repertori incisi e stampati a partire dalla metà del Cinquecento. A Milano in particolare, si diffuse non soltanto su pareti e volte di chiese, ville e palazzi, ma anche e soprattutto presso le botteghe dell’artigianato di lusso e nelle fiorenti industrie artistiche produttrici di armi, che elaborarono le idee più singolari nel campo della grottesca e degli ornati. Non è infatti un caso che Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1592), consigliere di Pirro I Visconti Borromeo nella redazione del complesso iconografico della villa, si fosse cimentato in gioventù proprio nella “composizione di grottesche” presso un intagliatore di ferro e materiali preziosi, e che draghi, bisce, arpie, centauri e altre creature leggendarie fossero i protagonisti delle sue fantasie di scrittore.
Oltre a queste decorazioni la sala presenta, sulle voltine delle porte, la sigla in lettere capitali “CPVB”, riferibile alle iniziali del conte Pirro I Visconti Borromeo.
Le pareti della sala sono decorate ad affresco, scandite da motivi ornamentali geometrici e vegetali che circondano ampie riquadrature rettangolari contenenti cornici mistilinee di differenti colorazioni. Tali incorniciature, caratterizzate da ricchi profili a volute con conchiglie alle due estremità inferiore e superiore, contengono a loro volta un’ulteriore decorazione a racemi vegetali e floreali, arricchita dalla presenza di piccole teste di putti, uccelli e animali fantastici o mostruosi. Questo tipo di decorazione ben concorda con il motivo a grottesche già ampiamente utilizzato nei soffitti e nelle pareti del Ninfeo, la cui campagna di decorazione fu portata avanti tra il 1587 e il 1589 dal pittore emiliano Camillo Procaccini (1561-1629), con la collaborazione di aiuti e maestri mosaicisti.
Le bizzarrie ornamentali, alternate ad ornati a grottesche e motivi all’antica, corrispondevano infatti al gusto del committente del complesso, Pirro I Visconti Borromeo, nonché a quello dell’intero ambiente artistico lombardo che a partire dall’inizio del XVI secolo fece grandissimo uso di questo tipo di soggetti. Il nuovo repertorio derivato dalle scoperte archeologiche romane, che all’epoca apparivano come grotte sotterranee (da cui il nome “grottesche”), venne infatti impiegato da scultori, orefici, intagliatori e pittori di tutta Europa, diffondendosi anche grazie ai numerosi repertori incisi e stampati a partire dalla metà del Cinquecento. A Milano in particolare, si diffuse non soltanto su pareti e volte di chiese, ville e palazzi, ma anche e soprattutto presso le botteghe dell’artigianato di lusso e nelle fiorenti industrie artistiche produttrici di armi, che elaborarono le idee più singolari nel campo della grottesca e degli ornati. Non è infatti un caso che Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1592), consigliere di Pirro I Visconti Borromeo nella redazione del complesso iconografico della villa, si fosse cimentato in gioventù proprio nella “composizione di grottesche” presso un intagliatore di ferro e materiali preziosi, e che draghi, bisce, arpie, centauri e altre creature leggendarie fossero i protagonisti delle sue fantasie di scrittore.
Oltre a queste decorazioni la sala presenta, sulle voltine delle porte, la sigla in lettere capitali “CPVB”, riferibile alle iniziali del conte Pirro I Visconti Borromeo.