Teatro naturale

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Il “Teatro di verzura” era l’area del parco destinata ai divertimenti campestri, tra cui il gioco delle bocce, e alle feste rurali che il marchese Pompeo IV Litta organizzava in occasione dell’onomastico della moglie Camilla Lomellini Tabarca, unico momento dell’anno in cui alla popolazione del borgo di Lainate era concesso di accedere alla villa. Questa porzione di parco è prospiciente alla facciata ovest del palazzo settecentesco e appare racchiusa da un ampio viale di tassi che durante il XIX secolo si presentavano sagomati a forma di piramide tronca.

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La parte terminale, a forma di esedra, ospitava fino agli anni Trenta del Novecento la gigantesca statua in marmo di “Adone”, realizzata intorno al 1602 dallo scultore comasco Marco Antonio Prestinari (m. 1621) e oggi conservata al Musèe du Louvre di Parigi. L’opera, un esuberante nudo maschile, fu realizzata dall’artista ispirandosi direttamente alla posa della “Venus Urania” scolpita intorno al 1575 da Giambologna (oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna), e costituisce uno dei primi lavori documentati del Prestinari, prima che il suo talento venisse scoperto dal cardinale Federico Borromeo, per il quale lo scultore eseguirà un numero cospicuo di ritratti di “Sibille e Profeti”. La scultura fu posta nel “Teatro Naturale” solo dopo il 1720, infatti precedentemente risulta registrata nei documenti in posizione sopraelevata, a ridosso della “Torre delle Acque” e dunque sul lato opposto del complesso. Tale collocazione era debitrice del mito stesso di Adone, colpito a morte da un cinghiale e restituito alla vita dal pianto benefico della dea Afrodite, innamorata di lui, che veniva assimilato alle acque del Ninfeo di Lainate. Ciò verrebbe confermato anche dalla scritta latina presente alla base della scultura “Adonis pene redivivus / Pirrhi vicecomitis borromaei largitate”, secondo la quale sarebbero proprio il mecenatismo di Pirro I Visconti Borromeo (e dunque le “lacrime” delle sue fontane) ad aver riportato in vita lo sfortunato eroe. Indubbiamente infatti, per Pirro, afflitto dalla gotta e prossimo alla morte (che avverrà nel 1604), le acque del Ninfeo dovevano avere davvero un valore “curativo” e la fama ottenuta con l’edificazione del complesso, gli avrebbe garantito vita eterna nella memoria di Lainate.