L’articolata composizione del giardino segue l’impianto definitivo della villa, che si articola su un unico asse prospettico orientato in direzione ovest-est coincidente con il lungo viale di accesso che attraversa la “Corte d’ingresso”, preceduta dal “Giardino dei fiori“, e la “Corte interna” per proseguire nel giardino.
In prossimità della corte orientale si estende un giardino all’italiana organizzato seguendo la stessa prospettiva centrale del viale d’accesso che culmina nel “Teatro di Diana”. Il giardino formale, di ideazione seicentesca, è organizzato a maglia geometrica segnata dalla presenza di fontane, statue e “teatri vegetali” che racchiudono fontane o gruppi scultorei mitologico-allegorici.
Il giardino presentava una serie di fontane e giochi d’acqua, molti dei quali oggi non più funzionanti, un tempo alimentati da una noria, ruota idraulica oggi dismessa, che provvedeva a fornire la corretta pressione. La prima fontana è posta nel “Teatro di Andromeda” mentre quella più grande è collocata nel “Teatro di Diana“, dove complessi meccanismi davano vita a scherzi d’acqua, quali improvvisi zampilli che bagnavano il visitatore a sorpresa. Una fontana a vasca è collocata anche al centro del “Teatro grande o delle Otto Prospettive” (6), che sorge non molto distante dalla “Scala dei draghi o via d’acqua”. L’iconografia delle fontane e dei gruppi scultorei è ispirata alla classicità, come nel “Teatro di Diana”, o derivata dalle ville di delizia tosco-romane, come la “Scala dei draghi”.
Dal viale seicentesco che termina con il “Teatro di Diana“ hanno origine, in senso ortogonale secondo l’asse nord-sud, tre grandi viali paralleli di ideazione settecentesca. Il primo viale verso oriente suddivideva il giardino in due parti di uguale ampiezza di cui una a bosco che attualmente ha la foggia di una carpineta a volta. Il secondo viale, in asse alla “Torre delle acque“, attraversa l’area dei labirinti di bosso, oggi impoveriti ma ancora percepibili nel loro disegno stellare. Il terzo viale, cui la facciata meridionale della villa fa da fondale, definisce lo spazio in cui nel Settecento vennero realizzati grandi parterre alla francese con aiuole senza bordure.
All’interno del giardino oggi si possono ammirare, in rovina, alcuni piccoli edifici quali la “Voliera”, coperta con leggiadre cupole metalliche e decorata, al suo interno, con affreschi dei quali rimangono visibili alcuni lacerti. Completamente distrutto è oggi il “Casino di caccia“, piccola architettura che si sviluppava su due piani, preceduta da una piccola corte. Al piano terreno si trovavano la cucina e una saletta, mentre al piano nobile si succedevano un vestibolo fiancheggiato dai due corpi simmetrici della scala di servizio e dell’oratorio, un salone e due camere con altrettante alcove.
I lavori nel giardino eseguiti nella prima metà del XVIII secolo per iniziativa di Giuseppe Antonio Arconati sono ampiamente documentati da alcune tavole del trattato “Ville di delizia” di Marc’Antonio Dal Re, edito nel 1743, con dedica a Giuseppe Antonio Arconati.
Gli interventi settecenteschi vengono tradizionalmente attribuiti all’architetto milanese Giovanni Gianda, giardiniere della villa bollatese che Dal Re riteneva di nazionalità francese, sebbene non sia possibile stabilire con esattezza quale sia stato il suo reale contributo progettuale. Santino Langè, ad esempio, ne circoscrive di molto l’operato ritenendo che egli si sia limitato solo alla realizzazione di alcuni particolari decorativi quali i labirinti.
Estinti gli Arconati, nel 1772 subentrarono come proprietari i Busca, che nel 1792 affidarono all’architetto Leopoldo Pollack la trasformazione all’inglese del giardino che non fu però mai realizzata.