Sala Aurora o Sala grande dei Ritratti

CE10 Sala Aurora o Sala grande dei ritratti (4)

 

La “Sala Aurora” costituisce il vertice di un articolato apparato iconografico che sapientemente unisce i temi della mitologia classica alla cultura biblico-giudaica e politico-sociale del Seicento. Fulcro della decorazione della stanza è un medaglione dipinto ad affresco, raffigurante l'”Apparizione del Carro solare all’Aurora”, attribuito a Giovanni Stefano Doneda detto il Montalto (1608-1690).

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La scena mostra Apollo incedere su una quadriga dorata riccamente decorata, trainata da quattro maestosi cavalli bianchi. Davanti a lui, sul lato destro del dipinto, l’Aurora danza con le braccia levate verso l’alto e le mani piene di fiori, circondata da amorini. Sulla sinistra della composizione Minerva indirizza verso il carro il giovane Giulio II Arese, posto di spalle rispetto all’osservatore, che regge nella mano destra una fiaccola accesa, simbolo del suo desiderio di conoscenza. Il dipinto simboleggia, infatti, la salda conoscenza e la grande saggezza raggiunta dalla famiglia Arese, che governa e amministra con sapienza (perché fonda il suo operato sulla tradizione e sulla storia), conducendo Cesano Maderno e lo Stato di Milano verso una nuova “primavera/aurora” fertile e giocosa e verso una nuova era di felicità. È infatti Minerva, dea dell’intelligenza e della saggezza a guidare Giulio II Arese, figlio di Bartolomeo, verso la luce della conoscenza rappresentata dal carro del Sole, così come è l’intelligenza a guidare il Re di Spagna nella scelta di fidati consiglieri per mantenere il suo Regno.

Nel dipinto si sposano, quindi, la gloria del casato con l’ideologia di stato: nel difficile momento storico successivo alla Pace dei Pirenei del 1659, la famiglia Arese ha il coraggio di ipotizzare per la monarchia iberica non il declino, come avrebbe desiderato buona parte dell’Europa, ma addirittura un futuro radioso, nel quale è facile scorgere la rinnovata speranza fornita dalla nascita di Carlo II (1661) che, dopo una lunga serie di lutti fra la prole reale, aveva scongiurato il rischio di estinzione della stirpe degli Asburgo di Spagna.

Il medaglione centrale è inserito in una decorazione in oro e cornici azzurre su fondo bianco di origine settecentesca, attribuibile a Mattia Bortoloni (1695-1750) ed eseguita, probabilmente, per celebrare le nozze tra Renato III Arese Borromeo e Marianna Erba Odescalchi, avvenute nel 1743. L’impianto decorativo, procedendo dall’angolo nord orientale in senso orario, comprende inoltre un ciclo di vele alternate a lunette di più modeste dimensioni dipinte, nelle quali il tema classico dell’iconografia dei satiri danzanti viene unito alla raffigurazione degli amori delle divinità mitologiche. La sequenza delle vele, non tutte conservatesi fino ad oggi, comprendeva in origine: “Apollo e Dafne”, “Bacco e Arianna” (scena quasi completamente scomparsa), e la raffigurazione di “Eroti e la Capra Amaltea”. La serie di lunette, invece, era composta dal “Trionfo di Arianna” (scena scomparsa), “Diana e Atteone”, “Orfeo ed Euridice”, “Venere e Adone”, “Arianna e un erote”, “Trionfo di Galatea”, “Arione, Giove e Callisto”, “Pan e Siringa sorpresi da Apollo” e la “Divinizzazione di Arianna”.

Prima di tale decorazione settecentesca alle pareti erano appesi otto quadri che ritraevano a figura intera altrettanti sovrani spagnoli e lo spazio delle lunette era occupato da dodici dipinti ottagonali con ritratti di principi, motivo per cui la sala era detta anche “Sala grande dei Ritratti”.