Sala della Boscareccia

 

La “Sala della Boscareccia” è decorata ad affresco con scenografici apparati illusionistici, raffiguranti paesaggi boschivi riccamente abitati da un’eterogenea fauna. Tali paesaggi sono inquadrati ai lati da grossi fusti d’albero, che assumono la connotazione di elementi architettonici portanti, collegando il pavimento al soffitto a cassettoni lignei e fungendo da sostegno a una finta trabeazione naturale dipinta, che sembra sporgere dal soffitto stesso.

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Le alberature dipinte, in questo modo, dividono le pareti in ideali riquadri, in cui compaiono bagnanti in un torrente, cacciatori, una rissa di contadini e mulattieri, tutti raffigurati sullo sfondo di paesaggi a tratti rocciosi e aspri e a tratti collinari e verdeggianti. Paesaggi connotati dalla presenza umana e dell’acqua, dipinta nelle sue differenti accezioni naturalistiche, proprie di ruscelli e laghetti, e antropizzate, in cui evidente appare l’apporto umano, come nel caso dei mulini. All’interno delle scene dipinte in questa sala non mancano, inoltre, elementi architettonici, tra i quali si distinguono castelli, edifici religiosi e case rustiche. Esse si ispirano dunque al paesaggio locale, anche se non mancano significative proposizioni ideali e riferimenti alla cultura esotico-orientale. Numerosi, inoltre, sono i richiami alla flora e alla fauna del nuovo continente americano, con chiare allusioni politiche legate all’importanza delle scoperte geografiche compiute dalla corona iberica.
Gli affreschi rappresentano un pastige botanico con coesistenze impossibili da rintracciare in natura, ma pienamente giustificate dal progetto scenografico unitario. Questi accostamenti, mai grotteschi o forzosi, sono infatti sempre presentati con delicata compostezza e tenue armonia. Tale approccio si rivela ricco istanze della cultura seicentesca, da sempre pervasa da sollecitazioni intellettuali e da curiosità per le “stravaganze”. Il tema della boscareccia ha infatti radici molto complesse che trovano riscontro nel gusto tipicamente barocco per il mimetismo, poiché un bosco selvaggio è quanto di meno omologabile alla razionalità umana e per questo diventa il soggetto ideale per essere dipinto, attraverso l’ingegno artistico umano, all’interno di palazzi e dimore nobili, anch’esse espressioni dell’ingegno dell’uomo e del sua padronanza delle leggi statiche.
La presenza di differenti scene di genere all’interno dell’inquadratura naturalistica boschiva, impone all’osservatore una visione differenziata dei singoli elementi, ovvero molteplici visioni d’insieme, capaci di farne cogliere il contesto, e vedute ravvicinate, che consentono di ammirare fin nei più piccoli dettagli ciò che è dipinto e narrato. Questa necessaria modalità di fruizione degli affreschi, come ha suggerito Andrea Spiriti, trova riscontro nell’idea, tipica della cultura scientifica seicentesca post-galileiana, una realtà sempre in bilico tra le altezze del macro-cosmo e gli abissi del micro-cosmo, ben esemplificate dalle due grandi scoperte del XVII secolo costituite dal cannocchiale e dal microscopio.
In questi ultimi anni si sono susseguite alcune interpretazioni iconografiche del tema delle boscarecce cesanesi, ponendo accenti su aspetti differenti della composizione scenografica e dei significati allegorici in essa celati. Tra le ipotesi più interessanti vi è quella che analizza il grandioso impianto figurativo dei dipinti di palazzo, come finalizzato a qualificare Cesano come “nuovo Eden”, sede cristiana e classica di un ritorno all’epoca aurea.
Anche questi dipinti sono attribuiti a Giovanni Ghisolfi (1623-1683), pittore di origini milanese formatosi a Roma presso la cerchia di Salvator Rosa, particolarmente sensibile ai temi del rovinismo di matrice classica e alla riproposizione della natura.