In ragione della grande importanza acquisita dal divertimento e dai passatempi nella società sei-settecentesca lombarda, intesi come elementi indispensabili di distinzione sociale e di manifestazione del potere politico-economico raggiunto dalle singole casate, divenne indispensabile dotare le nobili dimore di imponenti sale da gioco e sale da ballo. Nelle eleganti ville signorili il salone principale veniva infatti riservato alle feste danzanti, soprattutto in maschera durante il periodo carnevalesco, frequentate esclusivamente su invito da ospiti blasonati accomunati dal rispetto di un rigido cerimoniale. La danza veniva infatti considerata, al pari dell’equitazione e della scherma, una disciplina adatta ad esibire il proprio prestigio e il proprio status sociale. Fino alla fine del Settecento l’organizzazione di tali danze collettive fu infatti prerogativa esclusiva dei nobili, che spesso le promuovevano per ricorrenze pubbliche quali anniversari e visite di monarchi, ma anche per celebrare occasioni private, quali ad esempio matrimoni o feste di fidanzamento.
Solo con la metà dell’Ottocento i “balli di società”, così come venivano comunemente definite le veglie notturne danzanti, divennero uno dei momenti centrali del divertimento della nuova classe sociale borghese in ascesa, che presto acquisì gran parte delle ville di delizia extraurbane.
Le principali differenza tra le feste danzanti della nobiltà sei-settecentesca e della borghesia ottocentesca furono le scelte legate alle tipologie dei balli: le classi aristocratiche. Si venne dunque a creare una sorta di contrapposizione sociale nelle manifestazioni ludico-musicali del XIX secolo tra le famiglie nobili, che persistettero nella riproposizione dei “minuetti”, e la nuova borghesia, che fece del “valzer” l’emblema del ballo mondano, rifiutando il veto nobiliare posto ai balli d’oltralpe. Del resto, l’idea di contrapporsi ai caratteri artificiosi e compassati dei balli nazionali, ben coincideva con il desiderio e lo spirito borghese di sposare le mode estere, ad esempio parigine, per favorire l’introduzione all’interno di un mondo moderno, più innovativo ed evoluto anche nel ballo.
Le feste ottocentesche si protraevano fino alle prime luci dell’alba e tali abitudini non venivano considerate disdicevoli per la salute o per la morale, tanto che le maggiori preoccupazioni dei benpensanti non si rivolgevano all’accorciare gli orari delle danze quanto ai requisiti tecnici delle sale da ballo, che non dovevano mai configurarsi come locali bui o poco illuminati. I saloni ad esse deputati dovevano con le proprie luci mettere in risalto l’abilità dei ballerini, evitando di creare angoli in penombra che potessero favorire comportamenti sconvenienti, ed illuminare a giorno il salone fino alle prime ore del mattino, quando la luce naturale avrebbe sostituito quella artificiale. Per essere in linea con l’etica borghese, vennero addirittura diffusi dei manuali educativi in grado di fornire le norme codificate relative l’organizzazione e la frequentazione delle feste da ballo, i cui principi richiamavano alla civiltà delle buone maniere nata a corte, adattata ad un vero e proprio galateo borghese, improntato sull’immagine di una persona di mondo, educata e corretta, nonché conoscitrice della danza. Il rito del ballo, dunque, divenne un fondamentale centro di aggregazione sociale, sebbene fondato sull’appartenenza di censo, al pari di altre attività, quali i banchetti e le rappresentazioni canore. In Italia questa usanza si mantenne sino agli anni Venti e Trenta del Novecento, quando il regime fascista si appropriò di tale tradizione e trasformò gli spazi della festa.
Pur con numerose ed evidente diversità, dovute soprattutto alle inevitabili modificazioni architettoniche occorse con il passare dei secoli alle complesse strutture architettoniche afferenti al Sistema delle Ville Gentilizie Lombarde, tutte le sale da ballo ancora oggi presenti all’interno di palazzi e ville di delizia presentano alcune caratteristiche comuni quali: ampi spazi per la danza e per la collocazione di una o più orchestre, ottime e forti luci per illuminare la stanza e nessuna fonte diretta di calore (es. camini).
Buona parte di esse supera di gran lunga in ampiezza la maggior parte delle altre sale interne delle ville, come ampiamente mostrato nella “Sala della Musica” di Villa Visconti Borromeo Litta di Lainate, descritta negli inventari settecenteschi come “a doppia altezza” in quanto occupa sia il primo piano che il piano degli ammezzati.
Essa si presenta coperta da una volta a botte ornata da una cornice in stucco, mentre sui lati corti è dotata di logge con parapetto in ferro battuto sorrette da telamoni scolpiti, a loro volta poggianti su un cornicione decorato con maschere e grottesche, ritratti di imperatori e dame, motivi all’antica e stemmi nobiliari. Le logge furono create per ospitare i musici, ma spesso venivano utilizzate anche come disimpegno per accedere alle altre stanze della Villa senza interferire con le attività e i balli che si svolgevano nel salone sottostante.
Meno monumentale ma ugualmente esemplificativa dello stile decorativo di epoca settecentesca è la “Sala degli stucchi dorati” di Villa Cusani Tittoni Traversi a Desio, collocata al piano terra e affacciata direttamente sul giardino. Scandita alle pareti da lesene scanalate con capitelli corinzi in stucco dorato, la sala presenta motivi di ispirazione neoclassica, uniti a fregi a palmette in stucco dorato sulle sovrapporte. Il soffitto a cassettoni in legno dorato è decorato con rosoni, maschere e strumenti musicali mentre la parte centrale del soffitto si apre su una scenografica pittura a trompe-l’oeil raffigurante un sereno cielo primaverile, che sottolinea il carattere di ariosità della sala, storicamente molto amata dai celebri ospiti della famiglia Tittoni.
Simile per impostazione e modelli decorativi è anche il “Salone da ballo” di Villa Arconati a Castellazzo di Bollate, costituito da una sala rettangolare di colore bianco elegantemente decorata in stile rococò. Le decorazioni coprono interamente il soffitto, dominato da volute e arabeschi profilati in oro, e quasi del tutto le pareti della sala, ornate nella parte inferiore da una zoccolatura dipinta a finto marmo bianco e rosa. Nella parete minore, tra le due porte di ingresso, fa la sua comparsa anche una grande cornice rettangolare sormontata da un fregio mistilineo, al cui interno si delineano piccole figure modellate a rilievo. In questa sala, dunque, risulta assente la componente figurativo-pittorica, che invece compare come predominante nel salone da ballo collocato al piano nobile di Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno, denominato “Sala dei fasti romani”. Questo ambiente, caratterizzato da una copertura lignea andata parzialmente perduta, costituisce un unicum nell’ambito della storia dell’arte italiana, proponendo un imponente ciclo pittorico parietale magnificamente armonizzato con finti elementi architettonici dipinti, quali finestre, porte e balconate. Impiegato principalmente come salone per la musica e le feste danzanti, l’ambiente costituisce un vero e proprio “racconto” dipinto delle storie della Roma antica, indissolubilmente legate a livello simbolico alla storia e al prestigio delle famiglie Arese e Borromeo e della loro legittimazione al governo.
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