Sullo sfondo dei padiglioni dell’ex ospedale psichiatrico presso Villa Crivelli Pusterla a Limbiate, un viale di tigli (Tilia cordata) guida l’ospite verso un bosco misto in cui predominano le specie arboree sempreverdi e caducifoglie. I faggi (Fagus sylvatica) qui presenti sono uno spettacolare esempio di essenze arboree latifoglie dalla corteccia argentata e liscia e dalle foglie lucide, che sfumano dal rosso al verde. Si tratta di un albero alto fino a 25 metri, con chioma massiccia e ramificata, che negli esemplari giovani assume forma a cono per poi diventare a cupola negli esemplari adulti.
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Le foglie sono alterne e di forma ellittica e possiedono la base arrotondata. Le foglie del faggio presentano margini ondulati e su entrambe le pagine sono disegnate 5-9 nervature tra loro parallele. La loro pagina superiore si presenta inizialmente colorata di verde chiaro e solo in seguito assume una tinta più scura. Le foglie sono lucide su entrambe le facciate, anche se su quella inferiore la lucentezza tende a scomparire durante l’avanzare della stagione, rimanendo solamente agli angoli delle nervature. I margini sono muniti di morbida peluria. Durante l’autunno le foglie si colorano di un bel giallo dorato, per poi sfumare nelle tinte arancioni e infine rosso-brune.
Si tratta di una specie monoica in quanto i fiori, distinti in femminili e maschili, sono presenti sulla stessa pianta che fiorisce tra aprile e maggio. Gli amenti maschili, fiori simili a spighette, appaiono riuniti in cespi tondeggianti e sono caratterizzati da lunghi peduncoli, mentre quelli femminili crescono verticalmente in corrispondenza delle ascelle fogliari più alte. I frutti, che sono le faggiole, compaiono a gruppi di due all’interno di un involucro chiamato riccio, perché ricoperto di morbide spine.
Ampiamente diffusi all’interno dei giardini pertinenziali delle ville gentilizie lombarde, oltre che a Limbiate significativi esempi di faggi si trovano, ad esempio, nel parco di Villa Visconti Borromeo Litta a Lainate, nel quale si distingue il faggio presente all’interno del “Giardino Grande”, dominato dalla “Fontana di Galatea”.
Un tempo doveva essere sicuramente più diffuso in Italia, tanto da essere cantato dai poeti per la sua ombra rinfrescante, come testimonia Virgilio nelle “Bucoliche”: “Tityre, tu patulae recubans su tegmine fagi / silvestrem tenui Musam meditaris avena”.
Il legno di questo albero presenta una colorazione rossiccia ed è impiegato per la fabbricazione di mobili e la costruzione delle traversine ferroviarie. Dai suoi frutti si ricava un olio commestibile; probabilmente mai prodotto su larga scala per l’irregolarità con cui la pianta fruttifica e per le zone disagevoli in cui cresce.
Dalla corteccia del faggio un tempo si ricavava la carta e la scorza dei rami, che contiene tannino, era utilizzata come febbrifugo e tonico e contro la dissenteria, a causa del suo effetto astringente. L’infuso, ottenuto dalle foglie esercita un’azione terapeutica nelle affezioni bronchiali con un miglioramento della funzione respiratoria.
In genere si coltivano diverse varietà di faggio, come ad esempio il faggio rosso, caratterizzato da foglie rosso scuro e dai rami pendenti.
Anche il faggio fu, come molte altre essenze, simbolo dell’Albero cosmico capace di unire cielo, terra e inferi. Macrobio riferisce che la pianta era considerata una degli arbores felices e che le coppe usate per i sacrifici erano intagliate nel suo legno. L’uso dell’essenza del faggio nella produzione dei vasi è ricordato anche da Virgilio nelle “Egloghe”.
All’epoca di Plinio esisteva un tempio dedicato a Juppiter fugutalis edificato accanto ad un faggio sacro. È possibile, quindi ,che il culto del faggio, dedicato al dio supremo, sia poi stato eclissato da quello della quercia, divenuto l’albero di Giove. Tale ipotesi è rafforzata dal fatto che lo scrittore latino Luciano riferiva che l’oracolo di Dodona usciva non soltanto dalle foglie delle querce ma anche da quelle dei faggi.
L’albero continuava a ispirare fantasie popolari, tant’è vero che in passato si credeva che non venisse mai colpito dai fulmini.
Nella foresta di Verzy, in Francia, inquietava la presenza di alcuni faggi mostruosi il cui tronco insieme con i rami più bassi formava ammassi confusi e contorti, quasi boschetti di streghe. Pare che le malformazioni fossero dovute ad una mutazione provocata dalla caduta di un meteorite radioattivo nei primi secoli della nostra era. I faggi mostruosi sono già citati in una pergamena dell’abazia di Saint Basle del VI secolo e spesso divenivano oggetto di conversazione durante i passeggi ombrosi nelle ville di delizia lombarde.
Si tratta di una specie monoica in quanto i fiori, distinti in femminili e maschili, sono presenti sulla stessa pianta che fiorisce tra aprile e maggio. Gli amenti maschili, fiori simili a spighette, appaiono riuniti in cespi tondeggianti e sono caratterizzati da lunghi peduncoli, mentre quelli femminili crescono verticalmente in corrispondenza delle ascelle fogliari più alte. I frutti, che sono le faggiole, compaiono a gruppi di due all’interno di un involucro chiamato riccio, perché ricoperto di morbide spine.
Ampiamente diffusi all’interno dei giardini pertinenziali delle ville gentilizie lombarde, oltre che a Limbiate significativi esempi di faggi si trovano, ad esempio, nel parco di Villa Visconti Borromeo Litta a Lainate, nel quale si distingue il faggio presente all’interno del “Giardino Grande”, dominato dalla “Fontana di Galatea”.
Un tempo doveva essere sicuramente più diffuso in Italia, tanto da essere cantato dai poeti per la sua ombra rinfrescante, come testimonia Virgilio nelle “Bucoliche”: “Tityre, tu patulae recubans su tegmine fagi / silvestrem tenui Musam meditaris avena”.
Il legno di questo albero presenta una colorazione rossiccia ed è impiegato per la fabbricazione di mobili e la costruzione delle traversine ferroviarie. Dai suoi frutti si ricava un olio commestibile; probabilmente mai prodotto su larga scala per l’irregolarità con cui la pianta fruttifica e per le zone disagevoli in cui cresce.
Dalla corteccia del faggio un tempo si ricavava la carta e la scorza dei rami, che contiene tannino, era utilizzata come febbrifugo e tonico e contro la dissenteria, a causa del suo effetto astringente. L’infuso, ottenuto dalle foglie esercita un’azione terapeutica nelle affezioni bronchiali con un miglioramento della funzione respiratoria.
In genere si coltivano diverse varietà di faggio, come ad esempio il faggio rosso, caratterizzato da foglie rosso scuro e dai rami pendenti.
Anche il faggio fu, come molte altre essenze, simbolo dell’Albero cosmico capace di unire cielo, terra e inferi. Macrobio riferisce che la pianta era considerata una degli arbores felices e che le coppe usate per i sacrifici erano intagliate nel suo legno. L’uso dell’essenza del faggio nella produzione dei vasi è ricordato anche da Virgilio nelle “Egloghe”.
All’epoca di Plinio esisteva un tempio dedicato a Juppiter fugutalis edificato accanto ad un faggio sacro. È possibile, quindi ,che il culto del faggio, dedicato al dio supremo, sia poi stato eclissato da quello della quercia, divenuto l’albero di Giove. Tale ipotesi è rafforzata dal fatto che lo scrittore latino Luciano riferiva che l’oracolo di Dodona usciva non soltanto dalle foglie delle querce ma anche da quelle dei faggi.
L’albero continuava a ispirare fantasie popolari, tant’è vero che in passato si credeva che non venisse mai colpito dai fulmini.
Nella foresta di Verzy, in Francia, inquietava la presenza di alcuni faggi mostruosi il cui tronco insieme con i rami più bassi formava ammassi confusi e contorti, quasi boschetti di streghe. Pare che le malformazioni fossero dovute ad una mutazione provocata dalla caduta di un meteorite radioattivo nei primi secoli della nostra era. I faggi mostruosi sono già citati in una pergamena dell’abazia di Saint Basle del VI secolo e spesso divenivano oggetto di conversazione durante i passeggi ombrosi nelle ville di delizia lombarde.