Descritta negli inventari settecenteschi come una stanza arredata con pochi oggetti e un tavolino in scagliola, questa sala doveva verosimilmente costituire in origine uno studiolo o semplicemente un locale di passaggio per accedere alla cappella privata dedicata a San Pietro Martire.
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L’attuale decorazione parietale ad affresco mostra una fitta intelaiatura architettonica che riveste interamente le pareti, caratterizzata dalla presenza di pilastri mistilinei di ordine dorico sormontati da un architrave con cornice sporgente decorata a rosette. Al di sopra, una serie di cornici a volute ornano piccoli quadri raffiguranti scorci paesaggistici, alternati a peducci con decorazione frontale a foglia. La stretta parete meridionale si differenzia da questa impostazione per la presenza di riquadrature architettoniche che lasciano intravedere un giardino all’italiana. Quest’ultimo è dipinto con molta attenzione e appare animato da un gentiluomo e una dama, accompagnata da un servitore che regge un ombrello parasole. Il giardino sembra leggermente digradante verso un boschetto, oltre al quale si scorge la facciata di un’imponente architettura con una sequenza di statue collocate in nicchie a tutto sesto. Accanto alle tre figure che animano la scena, appare, appena abbozzato, il disegno al tratto di una quarta figura, mentre ai loro piedi una ignota mano vandalica ha scritto: “Va là che va’ bene”.
Come in altre sale del piano nobile, anche in questa stanza compaiono raffigurazioni di finti quadri posizionati sopra le porte d’accesso. Questi ultimi, disegnati con cornice ottagonale, rappresentano coppie di putti immersi in paesaggi boschivi. Nel primo, un amorino vestito di rosso, lascia cadere a terra il suo arco per togliere dalle mani una foglia di palma a un altro angioletto dalla veste azzurra, caratterizzato da un’acconciatura tipicamente femminile. Nel secondo riquadro, invece, gli stessi due putti si fronteggiano con l’arco teso, ma quello vestito di rosso è già stato colpito al cuore. La collocazione dei due soggetti nell’angolo adiacente la “Cappella” ha suggerito ad alcuni critici che essi potrebbero rappresentare l’allegoria dell’Amor Sacro e dell’Amor Profano. Il putto abbigliato di rosso, infatti, sembra voler rubare all’altro angioletto la palma del primato dell’amore divino sul cuore umano, che nello scontro diretto appare perdente (putto di azzurro vestito). Con queste pitture, dunque, il pittore avrebbe voluto rappresentare la tentazione del genere umano, e dello stesso conte Arese, nei confronti delle passioni mortali e il peccato dell’uomo nel pensare che la propria volontà sia più giusta di quella divina. Una volontà che, talvolta, nella sua infinita bontà può apparire agli uomini dolorosa e insopportabile, come in occasione della morte di un figlio o di una persona cara.
È dunque in questo senso che andrebbe letto l’apparato decorativo della sala che mostrerebbe lo scontro tra i due angeli, per simboleggiare la riluttanza di Bartolomeo III Arese ad accettare pienamente la volontà celeste.
Come in altre sale del piano nobile, anche in questa stanza compaiono raffigurazioni di finti quadri posizionati sopra le porte d’accesso. Questi ultimi, disegnati con cornice ottagonale, rappresentano coppie di putti immersi in paesaggi boschivi. Nel primo, un amorino vestito di rosso, lascia cadere a terra il suo arco per togliere dalle mani una foglia di palma a un altro angioletto dalla veste azzurra, caratterizzato da un’acconciatura tipicamente femminile. Nel secondo riquadro, invece, gli stessi due putti si fronteggiano con l’arco teso, ma quello vestito di rosso è già stato colpito al cuore. La collocazione dei due soggetti nell’angolo adiacente la “Cappella” ha suggerito ad alcuni critici che essi potrebbero rappresentare l’allegoria dell’Amor Sacro e dell’Amor Profano. Il putto abbigliato di rosso, infatti, sembra voler rubare all’altro angioletto la palma del primato dell’amore divino sul cuore umano, che nello scontro diretto appare perdente (putto di azzurro vestito). Con queste pitture, dunque, il pittore avrebbe voluto rappresentare la tentazione del genere umano, e dello stesso conte Arese, nei confronti delle passioni mortali e il peccato dell’uomo nel pensare che la propria volontà sia più giusta di quella divina. Una volontà che, talvolta, nella sua infinita bontà può apparire agli uomini dolorosa e insopportabile, come in occasione della morte di un figlio o di una persona cara.
È dunque in questo senso che andrebbe letto l’apparato decorativo della sala che mostrerebbe lo scontro tra i due angeli, per simboleggiare la riluttanza di Bartolomeo III Arese ad accettare pienamente la volontà celeste.