Sala dei Fasti romani o Grande Salone

 

Un tempo denominata “Grande Salone” o “Salone sopra la Porta verso il Teatro tutto dipinto”, la “Sala dei Fasti romani” costituisce uno degli ambienti principali di Palazzo Arese Borromeo, originariamente destinato alla musica e allo svolgimento delle feste da ballo.

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Planimetricamente essa si sviluppa come un ambiente rettangolare decorato con una semplice pavimentazione in cotto e una copertura a finti cassettoni. Il suo valore risiede nell’imponenza e nell’importanza dei cicli pittorici parietali, magnificamente armonizzati con gli elementi architettonici, quali finestre, porte e balconi. Essi costituiscono un unicum nell’ambito della pittura seicentesca lombarda in ragione delle molteplici chiavi di lettura cui si prestano, che un tempo miravano a illustrare il prestigio raggiunto dalla famiglia Arese e a legittimarne le scelte politico-amministrative.

L’impianto pittorico delle quattro pareti si basa sulla divisione in due registri, con articolate finte architetture colonnate che sostengono una balconata animata da festanti figure policrome e da variopinti musicanti. Negli sfondati e nei riquadri che sovrastano le porte e le finestre, sono invece raffigurate scene allegoriche legate alla storia di Roma, dalle origini ad Augusto, secondo uno svolgimento che si dipana in senso orario dalla parete a nord-ovest. La trama storica, interrotta da allegorie sacre e cartigli in distici elegiaci, racconta gli otto secoli dalla monarchia, alla Repubblica, all’Impero, ponendo molti riferimenti a temi di grande attualità per gli Arese, quali il nesso tra la religione e la tutela dello Stato, il primato del bene pubblico sugli affetti familiari, il ruolo centrale del Senato (specie negli anni in cui Arese presiedeva quello milanese), l’amore per la cultura, la caducità della gloria militare e l’importanza della pace.

Malgrado la “Sala dei Fasti romani sia stata ampiamente studiata, rimane incerta la definizione di una cronologia d’esecuzione e della sua attribuzione. La critica ha infatti assegnato alcuni riquadri a Ercole Procaccini il Giovane (1596-1676), a Giovanni Stefano Doneda detto il Montalto (1608-1690) e ad Antonio Busca (1625-1686). È del resto evidente che l’intera sala non possa essere opera di un unico artista e che numerose siano le maestranze susseguitesi nel tempo per la sua realizzazione. Palesi sono, ad esempio, gli influssi dell’operato del pittore Giovanni Ghisolfi (1623-1683), che si riflette nell’organizzazione “alla romana” degli spazi architettonici e che spostano la datazione delle pitture a un periodo successivo al 1661, quando Ghisolfi ritornò in Lombardia dopo il suo soggiorno romano. È dunque probabile che gran parte dell’impianto decorativo sia stato concluso entro il 1674, anno della morte di Bartolomeo III Arese, al quale sono direttamente legati numerosi stemmi araldici e riferimenti iconografici. La presenza degli stemmi e dei motti che si riferiscono alla famiglia Borromeo, invece, suggeriscono che tali decorazioni siano successive non solo al 1652, anno in cui Renato II Arese sposò Giulia Borromeo, ma anche al 31 marzo 1665, data della morte di Giulio II Arese e della conseguente origine dell’asse ereditaria Arese-Borromeo. È dunque probabile che l’intero ciclo fu completato tra il 1665 e il 1674. Una datazione che si pone in continuità al periodo di sviluppo artistico del palazzo. Questa sala, in particolare, riflette l’ascesi della famiglia Arese che, nella seconda metà del XVII, avvertì l’urgenza di possedere un sontuoso palazzo extra-urbano che fosse rivale per splendore con i grandi edifici della nobiltà europea.