Elemento di significativo valore all’interno del complesso architettonico di Palazzo Arese Borromeo è il giardino che prese forma nel Seicento, arrivando ad eguagliare la magnificenza di ville e palazzi della campagna romana, con i rimandi alle ville di Tivoli e di Frascati, che il letterato Gregorio Leti individua nell’approccio progettuale alla costruzione di parchi e giardini con il concorso di manufatti edilizi inseriti nel verde. Componente naturale e artificiale si completano, dunque, nel reciproco rapporto, come componenti progettati di uno spazio unitario, architettonicamente concluso entro un sistema di relazioni e di riferimenti all’antichità volte ad affermare il potere e l’autorità non solo economica ma anche culturale.
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Nel sistema che evoca l’età classica sono numerose le sculture e le architetture a padiglione, a tempietto e a portale collocate di volta in volta all’interno del sistema o ai suoi bordi, secondo uno schema teso a sottolineare scorci e visioni prospettiche tra gli accessi, i percorsi e i parterre.
Esempio rilevante di questa ricerca è il “Tempietto del Fauno”, pregevole architettura che si attesta al vertice sud-orientale del giardino pertinenziale, la cui imponenza è percepibile anche dall’esterno del complesso, poiché solo parzialmente schermato da alberature.
Questo seicentesco edificio è impostato su una pianta a croce greca lobata con l’innesto ai quattro lati di absidiole emicilindriche. Due di queste sono aperte al giardino, col passo curvilineo gradinato su cui si ergono due colonne tuscaniche architravate a chiusura della porzione superiore.
In alto, la copertura della calotta interna è conclusa dal tiburio e da una lanterna, sulla quale da un basamento mistilineo svetta la statua della “Fama”.
All’interno, due scale a chiocciola con gradini di pietra salgono al livello più alto, dominando lo spazio per meglio rimirare le decorazioni realizzate ad affresco sulle pareti. Queste, di evidente impostazione seicentesca, non coinvolgono esclusivamente le pareti verticali, ma interessano anche i pilastri, i catini absidali e le unghiature delle arcate. Nel volume interno del “Tempietto del Fauno”, in un’ambientazione equilibrata che oscilla tra mitologia e natura, sono state inserite rappresentazioni che evocano scene delle Parche, dello Zodiaco, dei Mesi e delle quattro Stagioni, in un tripudio di accenti divini. Per quanto lacunoso, l’insieme di questi elementi appare molto unitario, sia per l’impianto quadraturistico architettonico che lo incornicia, sia per i temi trattati, evidentemente derivati da un unico impianto iconologico e iconografico. Il “Tempietto del Fauno”, infatti, costituisce la metafora di un mondo che esalta la natura ma, nel contempo, valorizza la capacità di dei ed eroi di dominarla e di contrastare la sua forza distruttiva. Questo si esplicita attraverso l’organizzazione del tempo in un calendario celeste che regola l’anno in stagioni, utili per scandire anche il lavoro agricolo. Le decorazioni presenti in questo luogo, inoltre, riprendono il tema dell’esistenza di un mondo “magico”, in cui conoscenza scientifica e istanze umanistiche si fondono insieme, un argomento che Bartolomeo III Arese ha voluto far trattare all’interno di alcune sale del palazzo con ‘velate’ allusioni.
L’impianto decorativo di questo tempietto si esprime anche attraverso due opere scultoree: l’allegoria della “Fama”, disposta esternamente su un’alta base marmorea decorata con volute classiche; e il dio Pan, divinità delle selve e dei pascoli, oggi collocato all’interno del volume architettonico ed effigiato, come da tradizione, con il corpo metà uomo e metà capra.
Nel sottosuolo, il vano di una piccola cisterna o ghiacciaia consentiva la conservazione al fresco di vivande e bevande per i rinfreschi di corte consumati nel parco, tra l’ombra degli alberi, i giochi d’acque delle fontane e i convenevoli degli astanti.