Per cogliere concezione e senso del giardino di Palazzo Borromeo Arese non basta esplorarlo ma occorre identificare i rapporti, ereditati dal glorioso passato, tra aree verdi, architetture e sculture, come oggi si presentano dopo i restauri dell’ultimo decennio del Novecento, che ne hanno valorizzato storia e qualità paesistica.
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Manomissioni e modifiche tra XVII e XIX secolo hanno, infatti, implicato l’attuale messa a punto di un assetto globale moderno, benché ricco di importanti tracce storiche, oltre che ben connesso, tramite l’assialità del suo percorso centrale longitudinale, con l’ariosa loggia barocca del monumentale palazzo. L’ampiezza di nove ettari e la forma di rettangolo allungato sono invece fortunatamente rimaste, così come il muro in ciottoli e mattoni di fiume.
Complemento inscindibile dell’architettura, di cui esalta sobrietà ed eleganza intessendo un sottile e colto dialogo, il giardino è oggi realtà aperta al pubblico che può ritrovare, attraverso la lettura di documenti, grafici e scritti, il carattere di luogo ove la natura è stata modellata – tramite tecniche di giardinaggio, agricoltura, idraulica, architettura e scultura – con precisa intenzionalità. Qui, infatti, per secoli si è cercato di fondere in unità il vivere in villa e il contemplare, esaltando capacità sensitive ed emotive dei suoi fruitori, senza però dimenticarne le concrete esigenze alimentari e le opportunità di commercio dei prodotti con i vicini mercati del capoluogo milanese.
Un importante inventario di palazzo del 1716 descrive dettagliatamente il giardino e identifica l’insieme di attività agricole, di giardinaggio e artigianali che ne consentivano la splendida floridezza.
La mappa del catasto di Carlo VI, del 1722, consente di cogliere le originarie forme del giardino all’italiana con vasto parterre, voluto da Bartolomeo III Arese tramite radicale modifica e quasi raddoppio di un precedente giardino quadrato, esteso, nel lato lungo il palazzo, fino ai vasti rustici sul suo fianco, come attesta l’affresco presente nella “Stanza detta del Castello” al piano nobile di Palazzo Arese Borromeo.
Nel disegno catastale, un viale centrale dal Ninfeo del palazzo arriva fino ad un grande portale, detto “del Serraglio”, dividendo l’area quadrata, corrispondente al più antico giardino, in otto le aiuole, quattro per lato, interamente profilate di bosso e con decori floreali a ricami che compongono motti, emblemi borromaici e figure geometriche.
L’ideazione complessiva del giardino è attribuita a Francesco Maria Castelli da Castel San Pietro, uomo di fiducia della famiglia Borromeo, cui si devono anche il “Tempietto del Fauno”, il “Serraglio dei cervi”, il “Padiglione degli uccelli” e la “Fontana del Mascherone”. A questa fase risalgono molte delle statue in arenaria, collocate lungo il viale prospettico principale, e le statue in ceppo che raffigurano animali, sparse nel giardino.
Nella seconda metà del Seicento Carlo IV Borromeo Arese realizzò la “Roggia Borromea”, che alimentava il prato irriguo e un mulino e costituiva un’importante opera idraulica per gestire i giochi d’acqua. Per questa ragione egli volle fosse abbattuto il muro che divideva in due il giardino, lasciando però i cancelli dei quattro varchi e riorganizzando la disposizione delle sculture ampliandone il numero.
Realizzò anche la raffinata fontana a gradoni di gusto romano decorata da due sculture di cammelli in cesta e conclusa da un bacino in cui l’acqua si raccoglie per filtrare sottoterra, fino ad una grande peschiera antistante detta “Vasca dei pesci rossi”. Qui facevano bella mostra un tempo sculture marine ora scomparse, opera dello scultore Giovan Battista Rainaldi.
Sensibile al modello francese di giardino divenuto di moda e alle sue lunghe prospettive assiali, Carlo IV Borromeo Arese introdusse anche un viale di carpini che giungeva fino al bosco, e disseminò edicole e tempietti nei punti di arrivo o partenza dei viali.
Il complesso, confiscato da parte del governo lombardo-veneto nel XIX sec., subì danni gravi nel suo assetto e nell’eliminazione di componenti di prestigio, quali i giochi d’acqua, le cui condutture in piombo furono utilizzate per motivi bellici, deturpando per sempre il volto del giardino cesanese.
Complemento inscindibile dell’architettura, di cui esalta sobrietà ed eleganza intessendo un sottile e colto dialogo, il giardino è oggi realtà aperta al pubblico che può ritrovare, attraverso la lettura di documenti, grafici e scritti, il carattere di luogo ove la natura è stata modellata – tramite tecniche di giardinaggio, agricoltura, idraulica, architettura e scultura – con precisa intenzionalità. Qui, infatti, per secoli si è cercato di fondere in unità il vivere in villa e il contemplare, esaltando capacità sensitive ed emotive dei suoi fruitori, senza però dimenticarne le concrete esigenze alimentari e le opportunità di commercio dei prodotti con i vicini mercati del capoluogo milanese.
Un importante inventario di palazzo del 1716 descrive dettagliatamente il giardino e identifica l’insieme di attività agricole, di giardinaggio e artigianali che ne consentivano la splendida floridezza.
La mappa del catasto di Carlo VI, del 1722, consente di cogliere le originarie forme del giardino all’italiana con vasto parterre, voluto da Bartolomeo III Arese tramite radicale modifica e quasi raddoppio di un precedente giardino quadrato, esteso, nel lato lungo il palazzo, fino ai vasti rustici sul suo fianco, come attesta l’affresco presente nella “Stanza detta del Castello” al piano nobile di Palazzo Arese Borromeo.
Nel disegno catastale, un viale centrale dal Ninfeo del palazzo arriva fino ad un grande portale, detto “del Serraglio”, dividendo l’area quadrata, corrispondente al più antico giardino, in otto le aiuole, quattro per lato, interamente profilate di bosso e con decori floreali a ricami che compongono motti, emblemi borromaici e figure geometriche.
L’ideazione complessiva del giardino è attribuita a Francesco Maria Castelli da Castel San Pietro, uomo di fiducia della famiglia Borromeo, cui si devono anche il “Tempietto del Fauno”, il “Serraglio dei cervi”, il “Padiglione degli uccelli” e la “Fontana del Mascherone”. A questa fase risalgono molte delle statue in arenaria, collocate lungo il viale prospettico principale, e le statue in ceppo che raffigurano animali, sparse nel giardino.
Nella seconda metà del Seicento Carlo IV Borromeo Arese realizzò la “Roggia Borromea”, che alimentava il prato irriguo e un mulino e costituiva un’importante opera idraulica per gestire i giochi d’acqua. Per questa ragione egli volle fosse abbattuto il muro che divideva in due il giardino, lasciando però i cancelli dei quattro varchi e riorganizzando la disposizione delle sculture ampliandone il numero.
Realizzò anche la raffinata fontana a gradoni di gusto romano decorata da due sculture di cammelli in cesta e conclusa da un bacino in cui l’acqua si raccoglie per filtrare sottoterra, fino ad una grande peschiera antistante detta “Vasca dei pesci rossi”. Qui facevano bella mostra un tempo sculture marine ora scomparse, opera dello scultore Giovan Battista Rainaldi.
Sensibile al modello francese di giardino divenuto di moda e alle sue lunghe prospettive assiali, Carlo IV Borromeo Arese introdusse anche un viale di carpini che giungeva fino al bosco, e disseminò edicole e tempietti nei punti di arrivo o partenza dei viali.
Il complesso, confiscato da parte del governo lombardo-veneto nel XIX sec., subì danni gravi nel suo assetto e nell’eliminazione di componenti di prestigio, quali i giochi d’acqua, le cui condutture in piombo furono utilizzate per motivi bellici, deturpando per sempre il volto del giardino cesanese.