L’incidente del 10 luglio 1976 sconvolse la vita quotidiana di migliaia di persone. Il nome di Seveso divenne tristemente famoso. Negli spostamenti in Italia e all’estero i sevesini erano guardati con sospetto e i prodotti locali venivano respinti, come se potessero diffondere altrove la diossina.
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Molte donne furono poste di fronte la dilemma se abortire o no, senza sapere con certezza se la diossina potesse effettivamente essere pericolosa per i nascituri. Una decisione drammatica da prendere, anche a causa del clima difficile determinato dall’uso strumentale dell’evento, nella controversa questione della legalizzazione dell’aborto avvenuta poi nel 1978.
La comunità però non si disgregò. Gli uomini e le donne si riunirono in comitati spontanei, in gruppi e in associazioni. Un ruolo importante lo ebbero le parrocchie del territorio, le realtà di aggregazione ( ricordiamo lo slogan “Seveso la vita continua”), le numerose iniziative di volontariato, il comitato tecnico scientifico popolare.
Il confronto fu acceso anche per le implicazioni ideologiche suscitate dall’avvenimento e dalle decisioni da prendere. I diversi punti di vista che animarono comitati, gruppi e cittadini fecero nascere molte esperienze di educazione ambientale e sanitaria, di informazione, di ricerca scientifica e di animazione sociale e permisero, anche nel conflitto, di mantenere viva e coesa la comunità, pur nella drammaticità dei fatti e nella pesante incertezza provocata dalla novità della situazione.
Decine di migliaia di cittadini si opposero alla decisione di Regione Lombardia di costruire a Seveso un forno inceneritore per eliminare il materiale inquinato. Fu grazie alla pressione popolare che, per fortuna e saggezza, la decisione di costruire il forno fu abbandonata. Le donne e gli uomini di Seveso hanno saputo rispondere positivamente al “dramma dell’ignoto” causato dall’incidente a partire dal 10 luglio 1976 e proprio per questo tutta la storia ne rappresenta, oggi, un “INNO ALLA VITA”.