Già dal 1948 la popolazione di Seveso aveva protestato contro l’ICMESA a causa di gas e di odori ‘poco piacevoli’ provenienti dal torrente Certesa che, alcune perizie, attribuirono agli scarichi della fabbrica di Meda. Nel 1949, infatti, il Consiglio Comunale di Seveso si occupò del problema delle acque che venivano immesse nel torrente non convenientemente depurate da parte dell´ICMESA e che diffondevano “odori nauseabondi ed insopportabili nell´atmosfera”. I consiglieri rilevarono le continue lamentele della cittadinanza e le fecero proprie poiché in talune zone del territorio comunale l´aria era giudicata “assolutamente irrespirabile per le esalazioni provenienti dalle acque di deflusso dello stabilimento della società ICMESA di Meda”. Per questa ragione il Consiglio Comunale invitò il sindaco ad accertare la nocività dei gas emanati dall’industria briantea e, di concerto con il sindaco di Meda, ad attivarsi per inoltrare una protesta formale alle “superiori autorità”, al fine di obbligare la società ad eseguire quelle opere che si rendevano necessarie per eliminare i gravi inconvenienti igienici rilevati.
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Dopo pochi anni, il 2 maggio 1953, l´ufficio veterinario del Comune di Seveso accertò un´intossicazione di pecore a causa degli scarichi dell´ICMESA. Recatosi alla fabbrica “anche allo scopo di avere elementi necessari sui quali indirizzare la cura delle pecore colpite e non ancora decedute”, il veterinario consorziale Malgarini non ottenne alcun chiarimento in merito, per la “reticenza” del rappresentante dello stabilimento di Meda. Il primo luglio del medesimo anno l´ufficiale sanitario Del Campo, comunicò al sindaco del Comune di Meda che “un increscioso episodio tossico con la morte di 13 pecore” si era verificato nel torrente Certesa “subito a valle dello scarico delle acque di rifiuto della fabbrica ICMESA”. Nella sua relazione egli evidenziava che l´ICMESA produceva “acetati, salicitati e alcoli”, appurando la nocività delle acque del Certesa a causa dello scarico della fabbrica di acque residue di lavorazione. Per queste ragioni Del Campo ritenne che ci fossero “tutti gli estremi” per qualificare la fabbrica di Meda come “Industria Insalubre”. Sei giorni dopo l’industria medese, con una lunga nota a firma dell´amministratore delegato Rezzonico, affermò di non trovarsi d´accordo con quanto asserito dall´ufficiale sanitario e respinse la responsabilità della morte delle 13 pecore. La società, inoltre, non accettò la possibilità di essere classificata come “Industria Insalubre” ed evidenziò il fatto che anche le acque a monte dello stabilimento emanavano esalazioni moleste. L´ICMESA, con quella lettera, si impegnava a migliorare gli strumenti per l´eliminazione di odori e rumori molesti, sperando che l´episodio non alimentasse intorno allo stabilimento ed alla sua attività “quell´atmosfera di diffidenza e di critica” che, sempre secondo la direzione aziendale, era ingiustificata.
Il 28 agosto 1953 l´ICMESA ribadì le proprie posizioni considerando altresì “assurde” le accuse mosse a un´industria che lavorava “onestamente ed in condizione di ambiente e di sanità fra le più moderne d´Italia”.
Nove anni dopo il sindaco di Meda, che il 5 aprile del 1962 aveva già chiesto alla società di essere informato sull´evolversi della situazione degli scarichi industriali, avvertì l´ICMESA che nell´ultima seduta del Consiglio Comunale alcuni consiglieri avevano rilevato che molto spesso a settentrione dello stabilimento si sviluppavano incendi di materiali di rifiuto che provocavano “nubi fumogene irrespirabili” dannose per la salute pubblica.
Il sindaco invitò la ditta ad adottare le necessarie cautele nel bruciare i rifiuti per evitare gli inconvenienti igienici lamentati dalla popolazione. Il 14 maggio 1962 l´ICMESA, ancora una volta, rigettò le accuse limitando l´episodio ad un solo incendio, sviluppatosi per ragioni ignote e prontamente spento dopo quarantacinque minuti. Tuttavia la società assicurò il suo massimo impegno per evitare che si generassero similari ulteriori inconvenienti.
Dopo oltre un anno, il 7 maggio 1963, il sindaco di Meda chiamò nuovamente in causa l´ICMESA in merito ad un nuovo incendio di scorie e rifiuti di lavorazioni abbandonati sul terreno, non recintato, di proprietà della società, sottolineando che questa aveva generato il panico tra la popolazione e aveva costituito un grave pericolo per la ferrovia e la viabilità limitrofa. L’industria venne altresì invitata a provvedere per evitare nuovi similari episodi e le fu ricordato che le scorie e i rifiuti non potevano essere abbandonati sul terreno, ma occorreva che venissero “distrutti con procedimenti tali da salvaguardare l´incolumità pubblica o privata”. Dopo quattro giorni giunse puntuale la replica dell´ICMESA che scaricò ogni responsabilità dell’incendio su alcuni pastori che si erano fermati nei pressi dello stabilimento e che, dopo aver acceso un fuoco, erano scappati. La società assicurò che avrebbe provveduto con maggiore frequenza rispetto al passato a ricoprire le scorie con terra di riporto, per evitare il ripetersi dell´incidente. Infine l´azienda evidenziò che la località era comunque isolata e sufficientemente distante dalla ferrovia e dallo stabilimento e che, pertanto, non potevano esserci preoccupazioni per la popolazione.
Su sollecito del sindaco, il 25 maggio 1963 l´ICMESA si impegnò anche alla recinzione del deposito delle scorie collocato a nord dello stabilimento.