Era una domenica pomeriggio. L´11 luglio 1976 quando il sindaco di Seveso, Francesco Rocca, ricevette la visita di due tecnici dell´ICMESA che gli riferirono di un incidente successo il giorno prima all´interno della fabbrica.
“La descrizione fu breve, – ricorda il primo cittadino – più che altro tecnica, di ciò che era avvenuto. Per la prima volta sentii parlare di «triclorofenolo«», il tcf. «È un prodotto chimico intermedio di base» mi spiegò subito il dr. Paoletti. «Lo può trovare anche dal droghiere, serve anche per i diserbanti. E proprio il reattore che lo produce è scoppiato. Non si sa bene perché. Ieri mattina alle sei è cessato il turno e come ogni sabato hanno lasciato raffreddare il reattore. Domani la produzione di tcf sarebbe ripresa regolarmente, se non fosse avvenuta questa reazione incontrollata all´interno, che lentamente ha fatto alzare la temperatura e la pressione, finché poco dopo mezzogiorno è avvenuto lo scoppio»”.
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Il 12 luglio 1976 la direzione della fabbrica scrisse all´ufficiale sanitario supplente dottor Uberti, che sostituiva il titolare, professor Ghetti, in ferie, affermando: “Facendo riferimento alle precedenti informazioni e colloqui e alla vostra visita odierna, vi confermiamo quanto segue:
Sabato 10 luglio 76 alle ore 12.40 ca. si è verificato all´interno del nostro Stabilimento un incidente.
Vi precisiamo che la fabbrica era ferma per la normale giornata di sosta del sabato con la presenza soltanto di personale di manutenzione e lavori vari, che non interessavano il reparto in questione.
Le cause dell´incidente sono tuttora all’esame e al vaglio. Per ora possiamo supporre che la dinamica dei fatti sia avvenuta per una inspiegabile reazione chimica esotermica in un reattore lasciato in una fase di raffreddamento. Nel reattore si trovavano le materie seguenti: tetraclorobenzolo, etilenglicole e soda caustica che portano alla formazione di triclorofenolo grezzo.
Alla fine del normale orario di lavoro (alle ore 06.00 del sabato) il reattore è stato lasciato fermo senza agitazione e riscaldamento, come di consueto, contenente il prodotto grezzo.
Non sappiamo cosa possa essere successo fino alle ore 12.40, momento in cui si è rotto il disco di sicurezza, lasciando fuoriuscire una nube di vapori che, dopo aver investito le piante all´interno del nostro Stabilimento, si è diretta verso sud-est, spinta dal vento e dissolvendosi nel giro di breve tempo. Non essendo in grado di valutare le sostanze trascinate da questi vapori ed il loro esatto effetto, abbiamo provveduto ad intervenire presso i vicini per impedire il consumo di eventuali prodotti d´orto, sapendo che il prodotto finito viene anche impiegato in sostanze erbicide. Per il momento abbiamo sospeso questa lavorazione, concentrando le nostre ricerche nella spiegazione di quanto accaduto, per evitare casi analoghi nel futuro.”
Il direttore tecnico della Givaudan, dottor Sambeth, avuta notizia dell´incidente il successivo 11 luglio alle ore 11.45, ipotizzò la possibilità che si fosse prodotta tetraclorodibenzo-para-diossina, spesso indicata con la sigla TCDD.
La certezza scientifica della fuoriuscita di TCDD fu confermata il 14 luglio dalle analisi compiute nel laboratorio della Givaudan a Duebendorf (Zurigo) su materiale prelevato nell´ambiente circostante l´ICMESA. Anche dopo la conferma dei sospetti iniziali, sia i responsabili dell´ICMESA che quelli della Givaudan non dettero alcuna comunicazione della circostanza alle autorità italiane. Solo otto giorni dopo, il 18 luglio, allorché il direttore del Laboratorio chimico provinciale di Milano prospettò ai responsabili della fabbrica di Meda la possibilità della presenza di diossina, fu preannunciato l´arrivo in Italia del direttore del Laboratorio della Givaudan e solamente il 19 luglio 1976, l´ICMESA e la Givaudan si decisero ad ammettere la gravità della situazione, dichiarando ufficialmente la presenza di tetraclorodibenzo-para-diossina tra le altre sostanze altamente tossiche. Invece soltanto il 21 luglio 1976 il direttore del Laboratorio provinciale di igiene e profilassi, Cavallaro, e l´ufficiale sanitario di Seveso, Ghetti, dai Laboratori Givaudan di Duebendorf, confermarono al sindaco di Seveso la presenza di diossina nella nube tossica fuoriuscita il 10 luglio.
Nei “giorni del silenzio”, ovvero nei cinque giorni che passarono tra la fuoriuscita della nube ed i primi provvedimenti presi dai sindaci di Seveso e di Meda, si delineò con maggiore precisione la dinamica dell´incidente. I carabinieri di Meda infatti, nell´ambito dell´attività di polizia giudiziaria, confermarono che la nube si era formata a causa della rottura del disco di sicurezza del reattore “A 101″ e ciò per effetto di una reazione chimica esotermica. La rottura del disco causò lo scarico violento di particelle di vapori attraverso il tubo di sfiato.
La diffusione di particelle avvenne essenzialmente nei primi istanti e, complessivamente, durante le tre fasi dell´incidente fuoriuscirono circa 400 kg di prodotti di reazione e reattivi. La nube tossica comprendeva tra l´altro triclorofenolo, soda caustica e il 3,5% di diossina, pari quindi a 14 kg. Lo scarico fu trascinato dal vento che lo portò con sé lungo il suo percorso in direzione sud, sud-est. Come rilevato dalle stazioni meteorologiche di Carate Brianza e Como, quando avvenne l´incidente, il vento soffiava alla velocità di circa 5m/s.
Ancora il 18 luglio, quando il sindaco di Meda ordinò a scopo cautelativo la chiusura della fabbrica, la direzione cercò di assicurare le autorità sostenendo la non pericolosità dello svolgimento dell´attività lavorativa.